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  • Gio. Set 28th, 2023

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di redazione PIUATHENA_

Blanco, pseudonimo di Riccardo Fabbriconi (Brescia, 10 febbraio 2003), è salito alla ribalta nel 2021 con i successi “La canzone nostra” e “Mi fai impazzire”, arrivati al vertice della Top Singoli italiana.

Il cantante rivelazione del 2022 è stato scoperto dalla sua attuale manager Anna Brioschi, ex autrice di R101. 

E’ sicuramente uno dei volti della musica italiana più conosciuti e popolari di questo inizio 2022, forte della vittoria ottenuta al Festival di Sanremo con la canzone “Brividi”, in coppia con Mahmood.

Ma la sua fama è schizzata in alto quando la scorsa edizione di SANREMO lo ha visto “distruggere” il palco allestito con le rose.

Allora facciamo subito chiarezza su una cosa: le ridicole rose rosse distrutte da Blanco durante la prima serata di Sanremo 2023 non facevano parte dell’allestimento tradizionale del festival (i famosi “Fiori di Sanremo”). Erano una scenografia appositamente preparata per lui, mentre si esibiva sul palco dell’Ariston con la sua canzoncina insignificante intitolata “L’isola delle rose”. E alla fine della performance, quelle rose sarebbero state comunque maltrattate, come ha ammesso Amadeus nel dopofestival. Quindi non si può certo parlare di una scenetta improvvisata, anche se alcuni cercano di giustificarla in quel modo. Ma nessuno si aspettava che le rose ne uscissero intatte, vero? Mettiamolo in conto e andiamo avanti.

Il punto fondamentale non è tanto ciò che ha fatto Blanco in sé, che chiaramente è stato un gesto poco signorile, soprattutto nei confronti del personale tecnico e degli addetti alla scenografia che hanno dovuto affrettarsi a rimuovere i “rovesci” sul palco, e nei confronti degli artisti che dovevano esibirsi dopo di lui, costretti a subire ritardi notevoli. Il vero problema è come noi abbiamo reagito a tutto questo. Cerchiamo di estrapolare il contesto sanremese: abbiamo un ventenne poco più che adolescente (che tra poco raggiungerà la seconda decina), che non è un personaggio costruito ad arte, ma un “artista” genuino, che è emerso senza alcun supporto esterno. È famoso per i suoi atteggiamenti sfrenati sul palco, per i gesti impulsivi e per la sua natura imprevedibile e fuori controllo. Non si sa mai cosa aspettarsi da lui, ed è proprio questo che lo rende così interessante, giusto? Un simpatico ribelle che tutti adorano per la sua irruenza e spontaneità, quello che dichiara di sentirsi più a suo agio in mutande su un palco piuttosto che in abito elegante. Ecco, arriva al Festival di Sanremo e fa esattamente quello che ci si aspetta da lui: reagisce impulsivamente alla frustrazione comportandosi come un ventenne arrabbiato e confuso con il mondo.

D’altronde, non si tratta neanche di un gesto particolarmente distruttivo, no? Sta solo distruggendo dei fiori, i suoi fiori, per di più. E il filone delle “giovani rock star che rompono le cose” non è certo una novità nella storia della musica. Jimi Hendrix e i Nirvana fracassavano le loro chitarre per fare spettacolo. I Sex Pistols devastavano i bagni delle case discografiche. Ci sono innumerevoli esempi di artisti in tour che distruggono le loro camere d’albergo e altre proprietà pubbliche e private. Ma quando i Måneskin hanno distrutto gli strumenti sul palco a Las Vegas qualche mese fa, come parte del loro show, sono stati sommersi di critiche, soprattutto in Italia. Delusione da parte di coloro che si aspettavano di più da loro. Da quando abbiamo iniziato a pretendere che musicisti appena usciti dall’adolescenza e alle prime esperienze su palchi importanti si comportino come prudenti e rispettabili impiegati di mezza età?

L’azione di Blanco ci ricorda un’altra protesta di cui abbiamo parlato recentemente: Vasco Rossi che nel 1982 infilò il microfono in tasca e se ne andò per protesta contro l’uso del playback a Sanremo (un’azione che ripeté nel 1983). Anche allora si criticò la mancanza di rispetto verso il personale dell’Ariston e il pubblico, ma cerchiamo di metterci nei panni di chi sta dall’altra parte delle telecamere: anche gli artisti sono lì per lavorare e quando si trovano in situazioni tecniche problematiche o circostanze sfavorevoli, protestano a modo loro. Succede spesso in grandi eventi televisivi, dove la scaletta è serrata e le prove sono limitate. E la reazione degli artisti non è sempre tranquilla.

Ci sono artisti che affrontano la situazione con ironia, come Elio e le Storie Tese al Festivalbar nel 1999, quando si immobilizzarono in silenzio e dovettero essere portati via di peso alla fine della loro esibizione. Quattro anni prima, durante la stessa manifestazione, Gianluca Grignani smise di cantare a metà esibizione di Falco e fu bersagliato di oggetti dal pubblico presente. Nel 1984, Freddie Mercury a Sanremo cantò gran parte di “Radio GaGa” tenendo il microfono lontano dalla bocca. I Muse, sempre in protesta contro il playback, durante un’ospitata a “Quelli che il calcio” si scambiarono di posto senza avvisare gli autori e la conduttrice Simona Ventura, facendo sì che il batterista sembrasse cantare il singolo “Uprising”. Nel 2001, i Placebo conclusero la loro esibizione a Sanremo distruggendo una chitarra sul palco, in segno di protesta contro la reazione un po’ ingessata del pubblico (anche se alcuni sostengono che fosse un gesto pianificato). Prima di Blanco, anche lui protestante, c’erano stati molti altri casi simili. Ma non sarebbe il caso di riflettere sul ruolo sempre più marginale che la musica rischia di avere in questo tipo di produzioni televisive?

Infine, c’è chi osserva che se Blanco avesse avuto più esperienza sui palchi e avesse fatto la sua gavetta, avrebbe reagito in modo diverso all’inconveniente tecnico: avrebbe tolto gli auricolari, si sarebbe avvicinato a una cassa e avrebbe continuato a cantare. È vero. Ma non possiamo biasimarlo per essere stato catapultato dal nulla allo stadio di San Siro in soli due anni. È il mercato discografico di oggi che funziona così, con una velocità folle. Se il suo talento è autentico (e lo è sicuramente), colmerà le lacune con il tempo. Non possiamo certo incolparlo di tutti i problemi e le limitazioni di un sistema che né lui né gli altri artisti della sua generazione hanno creato.